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di Tito Lucrezio Lib. I. | 7 |
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Ennio cantò, che pria d’ogni altro colse
In riva d’Elicona eterni allori,
Onde intrecciossi una ghirlanda al crine
Fra l’Italiche genti illustre e chiara:
155Bench’ei ne’ dotti versi affermi ancora,
Che sulle sponde d’Acheronte s’erge
Un tempio sacro a gl’infernali Dei,
Ove non l’alme, o i corpi nostri stanno;
Ma certi simulacri in ammirande
160Guise pallid’in volto; e, quivi narra
Dell’immortale Omero essergli apparsa
L’immagine piangendo, e di Natura
A lui svelando i più riposti arcani.
Dunque non sol de’ più sublimi effetti
165Cercar le cause, e dichiarar conviensi
Della Luna, e del Sole i movimenti;
Ma come possan generarsi in terra
Tutte le cose, e con ragion sagace
Principalmente investigar dell’alma,
170E dell’animo uman l’occulta essenza;
E ciò che sia quel, che vegliando infermi,
E sepolti nel sonno in guisa n’empie
D’alto terror, che di veder presente
Parne, ed udir chi già per morte in nude
175Ossa è converso, e poca terra asconde
E so ben io, qual malagevol’opra
Sia l’illustrar de’ Greci entro i Latini