< Pagina:Lucrezio e Fedro I.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.
20 di Tito Lucrezio Lib. I.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Lucrezio e Fedro I.djvu{{padleft:48|3|0]]

  Dunque se di due cose eguali in mole
  L’una più lieve fia, chiaro n’insegna
  D’aver manco di corpo, e più di Vuoto,
  505Ma se più grave pe ’l contrario mostra
  D’aver manco di Vuoto, e più di corpo,
  Che sia dunque tra i corpi il Vuoto sparso;
  Benchè mal noto ‘a’nostri sensi infermi,
  Per l’addotte ragioni è chiaro e certo.
  510Nè qui vogl’io che deviar dal vero
  Ti possa mai quel, che sognaro alcuni;
  E perciò quanto io parlo ascolta, e nota.
Dicon, che ’l mare allo squamoso armento
  Apre l’umide vie, perch’egli a tergo
  515Spazio si lascia, ove concorron l’onde,
  E che in guisa simile ogn’altra cosa
  Mover si puote, e cangiar sito e luogo;
  Ma falso è ciò, ch’ove’ potranno al fine
  I pesci andar, se non dà luogo il mare?
  520E dove al fin, se non dan luogo i pesci,
  Il mar n’andrà, benchè cedente e molle?
  Forz’è dunque o privar di moto i corpi,
  O fra le cose mescolare il Vuoto,
  Che sia cagion de’ movimenti loro.
525S’al fin due piastre di lucente acciaro
  Si combattano insieme, ind’in un tratto
  L’una dall’altra si solleva, è d’uopo,
  Che vuoto resti l’interposto spazio;

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.