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22 | di Tito Lucrezio Lib. I. |
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L’una cosa dall’altra, e penetrare
Per tutt’i ripostigli, e trarne il vero,
Ma se tu pigro fossi, e ti scostassi
Dal vero alquanto, io ti prometto, e giuro,
560Che può la lingua in così larga vena
Dal ricco petto mio spargerti, o Memmio,
Più che mel dolce d’eloquenza un fiume;
Ch’io temo assai non la vecchiezza inferma
Per le membra serpendo il chiostro n’apra
565Di nostra vita, e ne disciolga i lacci,
Pria che tu possa d’ogni cosa a pieno
Da’ versi nostri ogn’argomento udire.
Ma tempo è già di proseguir l’impresa.
Tutte le cose per se stesse adunque
570Consiston solamente in due nature;
Cioè nel corpo, e nello spazio vuoto,
Ov’elle han varj i movimenti; e i siti;
Ch’esser corpi nel Mondo il comun senso
Per se ne mostra, a cui se fede nieghi,
575Non fia giammai, che delle cose occulte
Poss’io nulla provar con la ragione.
E se non fosse alcuno spazio, o luogo,
Che sovente da noi Vuoto si chiama,
Non avrian sito mai, nè moto i corpi,
580Come già poco innanzi io t’ho dimostro.
Nulla oltre a ciò può ritrovarsi mai,
Che tu dir possa esser diviso affatto