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di Tito Lucrezio Lib. I. | 35 |
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Toccar con l’accostarsi il nostro tatto.
Il dir poi, ch’ogni cosa è foco puro,
E che nulla è di vero altro, che ’l foco,
910Com’Eraclito volle, a me rassembra
Sogno d’infermi, o fola di romanzi,
Poich’il senso repugna al senso istesso,
E quello snerva, ond’ogni creder pende,
Ed onde egli medesimo conobbe
915Quel corpo, che da lui foco si chiama;
Già ch’ei crede, che ’l senso il foco solo
Veramente conosca, e poi null’altro
Di ciò, che punto è non men chiaro al senso.
Il che falso non pur, ma parmi ancora
920Sogno d’infermi o fola di romanzi.
Ch’ove ricorrerem? qual cosa a noi
Fia più certa giammai de’ sensi nostri,
Onde il vero dal falso si discerna?
In oltre: ond’è che tu piuttosto ogni altra
925Cosa tolga dal Mondo, e lasci solo
La natura del caldo, il che poi nieghi
Esser il foco, e non per tanto ammetta
La somma delle cose? a me par certo
Tanto l’un quanto l’altro egual pazzia.
930Quindi chi si pensò, che il foco fosse
Delle cose materia e che di foco
Potesse al mondo generarsi il tutto,
E chi fe’ primo seme o l’aria, o l’acqua,