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di Tito Lucrezio Lib. I. 47

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  Poich’è mestier, che tremoli, e lascivi
  Si sganascin di risa, e che di lagrime
  Bagnino amaramente ambe le guancie.
Su dunque or odi, e viepiù chiaro intendi
  1235Ciò che da dir mi resta, e ben conosco
  Quanto sia malagevole ed oscuro;
  Ma gran speme di gloria il cor percosso
  M’ha già con sì pungente, e saldo sprone,
  Ed insieme ha svegliato entro il mio petto
  1240Un così dolce delle Muse amore,
  Ch’io stimolato da furor divino
  Più di nulla non temo; anzi sicuro
  Passeggio delle nove alme Sorelle
  I luoghi senza strade, e da nessuno
  1245Ma più calcati a me diletta, e giova
  Coglier novelli fiori, onde ghirlanda
  Pellegrina, ed illustre alcun m’intrecci,
  Di cui fin qui non adornar le Muse
  Le tempie mai d’alcun Poeta Tosco,
  1250Pria perchè grandi, e gravi cose insegno,
  E sieguo a liberar gli animi altrui
  Dagli aspri ceppi, e da’ tenaci lacci
  Della Religion; poi perchè canto
  Di cose oscure in così chiari versi
  1255E di nettar Febeo tutte le spargo
  Nè quest’è come par, fuor di ragione;
  Poichè qual, se fanciullo infermo langue,

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