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60 di Tito Lucrezio Lib. II.

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  non si sente; ah! che distesi
  Non lungi al mormorar d’un picciol rio,
  45Che il prato irrighi, i Pastorelli all’ombra
  Di selvatiche piante allegri danno
  Il dovuto ristoro al proprio corpo:
  Massime allor che la stagion novella
  Arride, e l’erbe di bei fior cosperge
  50Nè piuttosto giammai l’ardente febbre
  Si dilegua da te, se d’oro, e d’ostro,
  E d’arazzi superbi orni il tuo letto, ’
  Che se in veste plebea le membra involgi.
Onde poscia che nulla al corpo giova
  55Onor, ricchezze, o nobiltade, o regno,
  Creder anco si dee, che nulla importi
  Il rimanente all’animo; se forse,
  Qualor di guerra in simolacro armate
  Miri le squadre tue, non fugge altera
  60Ogni Religion dalla tua mente
  Da tal vista atterrita; e non ti lascia
  Il petto allora il rio timor di morte
  Libero, e sciolto, d’ogni cura scarco.
  Che se tai cose esser veggiam di riso
  65Degne, e di scherno, e che i pensier nojosi
  Degli uomini seguaci, e le paure
  Pallide, e macilenti il suon dell’armi
  Temer non sanno, e delle frecce il rombo:
  Se fra Regi, e Potenti han sempre albergo

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