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222 | dell’istoria di verona |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Maffei - Verona illustrata I-II, 1825.djvu{{padleft:252|3|0]]rio, che la città; e governava il suo mese, e dava cinquanta persone al Consiglio non meno ogni tribù occupante un pezzo della regione, che ogni tribù occupante una parte della città. Somigliante fu 1 istituto de’ Romani, divisa prima in tre parti e la città, come dice Plutarco (in Romul.), e il territorio, come dice Varrone (L. L. l. 4). Servio Tullio ampliata la città, quattro tribù distinse in essa, dette però Urbane, e quindici nel distretto, dette Rustiche. In queste si comprese il fiore della nobiltà Romana, perchè il dar opera anche personalmente all’agricoltura nobilissimo impiego si stimava in que’ tempi; di che veggansi Plinio (lib. 18, c. 13) e Varrone (R. R. l. 2). Quanto potenti fossero le Rustiche fin poco avanti la guerra Sociale, si riconosce in Appiano (Bell. Civ. lib. 4), dove narra che vollero vincerla sopra le Urbane nel contrasto per una legge. Municipii Rusticani nominò Cicerone (pro Rosc.) più d’una volta. Nè i coltivatori de’ terreni abbandonavano le città interamente, poichè si ha da Tullio che anticamente i Romani per castigar Capua, l’avean privata de’ suoi Magistrati, e del suo Senato e Consiglio, e non l’aveano atterrata e distrutta, affinchè gli aratori stanchi dal lavorare i campi avessero ove ristorarsi nelle case della città (De Leg. Agr.). Si vennero poi talmente separando, che cominciarono a costituire quasi un altro corpo; onde veggiamo in più lapide nominata la Plebe Urbana, che vien però a distinguersi dalla Rustica. Distintivo principale tra le città ed i vici si fu, che questi erano