Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Malombra.djvu{{padleft:123|3|0]]
CAPITOLO VII.
Conversazioni.
Quel giorno la gentildonna veneziana di Palma il Vecchio fu scherzosamente pregata di uscire dalla sua cornice e di sedere a pranzo. La bella donna rispose col solito sorriso. Benchè la mensa brillasse di argenti, di cristalli e di fiori, non valeva ad allettare lei, cresciuta fra magnificenze orientali. E poi, quale squallida comitiva di adoratori a’ suoi piedi! Chi la pregava di scendere era il comm. Finotti, deputato al Parlamento, prossimo alla sessantina, con gli occhi tutti fuoco e il resto tutto cenere. C’era pure il comm. Vezza, letterato, aspirante al Consiglio superiore d’istruzione pubblica e al Senato, piccolo, tondo, imbottito di dottrina e di spirito, caro a molte signore ma non a quella lì, che non era letterata nè ipocrita e rideva di quegli occhiali d’oro, di quel carnierino grigio corto, di quelle forme da soldatino di gomma. C’era il prof. cav. ing. Ferrieri: fisonomia nervosa, occhio intelligente, sorriso scettico, cervello e cranio perfettamente lucidi. Neppure costui poteva allettare la bella veneziana. Ella era troppo del XVI secolo e lui troppo del XIX. Nato con una scintilla di poeta e d’artista, la avea convertita in agente meccanico. C’era l’avvocatino Bianchi, giovinotto elegante, timido, con un’aria di sposina imbarazzata, tutto tepido ancora del nido di famiglia. Anche di lui sor-