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Movimento generale, strepito di sedie, presentazioni cerimoniose, silenzio, tintinnìo di tazze, brindisi eloquente del commendator Vezza alla futura prosperità del Comune di R... così degnamente e sapientemente rappresentato. — Dell’amo non parlò. Il Sindaco e la Giunta lo guardavano trasognati, con la vaga inquietudine di chi sente farsi gran lodi e non sa perchè, e teme d’esser caduto in qualche imbroglio. Poi tutti si alzarono. Il conte, l’ingegnere, l’avvocatino e la Giunta si strinsero a conferire insieme.

Il comm. Finotti diede il braccio a donna Marina sussurrandole alcune parole francesi e sorridendo, probabilmente all’indirizzo delle autorità che spandevano un disgustoso odore di fustagno. Si respirava uscendo da quel caldo nell’ombra fresca della loggia, dove veniva su dal cortile un soave odore di rhynchospermum fiorito. Anche il lago davanti al Palazzo taceva per un gran tratto nell’ombra. Le montagne in faccia e l’acqua in cui si specchiavano eran dorate. Il ponente splendeva, sereno. A levante l’Alpe dei Fiori, infocata, toccava il cielo nero, tempestoso.

— Bello! — disse il comm. Finotti appoggiandosi alla balaustrata; — bello, ma troppo deserto. Come Le passa il tempo in quest’èremo, marchesina?

— Non passa del tutto — rispose Marina.

— Ci sarà però nei dintorni qualche essere umano lavato e pettinato da poter dire due parole.

— Ce n’è uno dipinto.

Accennò il dottore che stava presso l’entrata della loggia ascoltando a bocca aperta un vivacissimo dialogo tra il Vezza e Steinegge. Silla si teneva in disparte, guardava il getto d’acqua nel cortile.

— Ma Cesare — insistè il Finotti — ha sempre ospiti. Anche adesso, mi pare... — soggiunse con una voce piena di domande sottintese, guardando la giovane signora, che sporse il labbro inferiore senza rispondere.

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