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— Come mai è l'amico di Cesare? — disse il commendatore sottovoce.

— Non lo so.

— Io però lo invidio.

— Perchè?

— Viver vicino a Lei!

— Può essere assai poco piacevole agli altri se non garbano a me — disse Marina con l’accento e l’atto di chi vuol troncare un discorso.

— Vezza! — gridò forte il Finotti, — come puoi star a parlare di trote, perchè tu già parli di trote o di granchi, dove c’è una dama? Vedo che al mio garbatissimo amico dottore ci fai una pessima impressione.

Il garbatissimo amico si sviscerò in proteste.

— Marchesina — disse il Vezza avvicinandosi — oda come si ricompensa l’abnegazione di un amico che vi cede il primo posto!

— L’aveva Lei? — rispose Marina con uno dei suoi sorrisi; e senz’attender la replica, si rivolse a Steinegge.

— Tre sedie — diss’ella.

V’erano cinque persone in loggia e neppur una sedia.

— Quando una signorina ordina — rispose Steinegge dopo un momento di silenzio, — un capitano di cavalleria può portarne trenta.

Il commendatore Finotti osservò Silla. Era pallido e guardava Marina con fuoco sì sdegnoso che parve sospetto a quel dilettante di psicologia pratica.

— Tutti in piedi? — disse il conte affacciandosi in quel punto alla loggia con l’ingegnere, l’avvocato e le Autorità. — Caro Steinegge, abbia la bontà di dire che portino delle sedie. Il professore desidera vedere se e come si potrebbe stabilire un barraggio regolatore delle piene del lago; se occorra qualche altra operazione alla soglia dell’emissario. Io lo accompagno. Questi signori preferiscono rimanere.

— Noi leveremo l’incomodo — disse uno degli assessori.

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