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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Malombra.djvu{{padleft:132|3|0]]chi è, Lei? Chi ci può dire neppure il Suo vero nome? S’indovina!
Aperse con impeto l’uscio che metteva nell’ala di ponente e scomparve.
Medusa non avrebbe impietrato meglio di lei quel gruppo d’uomini.
Silla sentiva di dover dire qualche cosa, e non sapeva che. Gli parve di aver toccato un gran colpo di mazza sulla testa e di barcollare. Finalmente, a stento, raccapezzò un pensiero.
— Signori — diss’egli— sento che mi si è gettata un’ingiuria: non so quale, non intendo!
Le parole no, ma l’accento, le braccia, gli occhi, dicevano: se avete inteso, parlate. I commendatori e il medico protestarono silenziosamente, col gesto, di non saper nulla, gli altri stavano a bocca aperta. Steinegge prese Silla a braccetto, lo trasse via dicendogli: — Adesso conoscete, adesso conoscete.
La Giunta di R... e il dottore si ritirarono subito.
— Bel finale! — disse il commendator Vezza, passato il primo sbalordimento. — Hai capito tu?
— Eh altro — rispose il Finotti. — È chiaro come l’acqua.
— Torbida.
— Ma che? vuoi sentire? Quel giovinotto lì, piovuto al Palazzo dalle nuvole, è un peccatuccio dell’amico Cesare. Alla damigella ci ha seccato mortalmente. Capisci, vedersi portar via sotto il naso uno zio siffatto! Ci sarebbe, per salvar tutto, la solita combinazione, e questa scommetto che è l’idea di Cesare, ma!... A Parigi o a Milano o nel mondo della luna ci deve essere un ma con un cilindro etereo e dei calzoni ideali. Sarà biondo, sarà bruno, sarà quel diavolo che vuoi: c’è sicuramente. Dunque, niente combinazione; guerra! Non è chiaro?
— Non sai niente, caro mio. Che si possa arrischiare un sigaro? — Qui il commendator Vezza si divertì ad accendere il sigaro, sciupandovi silenziosamente una