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CAPITOLO VIII.

Nella tempesta.


— Debbo accendere il lume, signor? — disse Steinegge a bassa voce.

Era notte fatta. Da un gran pezzo Steinegge e Silla stavano seduti nella stanza di quest’ultimo, uno in faccia all’altro, senza parlare. Pareva che vegliassero un morto.

Steinegge si alzò, accese in silenzio una candela e tornò a sedere.

Silla teneva le braccia incrociate, il capo chino sul petto, gli occhi a terra. Steinegge era inquieto, guardava Silla, guardava il lume, guardava il soffitto, metteva una gamba a cavalcioni dell’altra che poi pigliava bruscamente la rivincita.

— Presto bisognerà scendere, signor — diss’egli. — Credo che il signor conte è ritornato da un pezzo.

Silla non rispose.

Steinegge aspettò un poco, poi si alzò, tolse il lume e si avviò adagio alla porta.

L’altro non si mosse.

Steinegge lo guardò, ritirò il collo tra le spalle con un ah di sommessione, depose il lume e venne a piantarsi davanti a Silla.

— Sono un imbecille, signor, non so dir niente, ma sono amico. Vi giuro che se potessi rispondere io per lei, farvi sortire quel colpo di sciabola che dovete aver

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