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Si ripose tosto in cammino perchè lampeggiava. In faccia a lui nuvoloni torvi di levante si movevano finalmente, si allargavano verso le montagne, invadevano il cielo con tante cime rigonfie, fluttuanti come una marea furiosa che volesse salire fino alla luna. Gittavano lampi continui, silenziosamente, verso il lume di lei, fuggitiva. Ad un tratto Silla si ferma e tende l’orecchio.

Ode il sommesso borbottar del lago ne’ buchi dei muricciuoli, il lamento dell’allocco nelle selve della riva opposta, il canto dei grilli e il lieve sussurro di un soffio per le viti folte, per le frondi bigio-argentee degli ulivi.

Null’altro?

Sì, due remi cauti, lenti che tagliano l’acqua a lunghi intervalli. Se vicini o lontani, non s’intende bene; sul lago, a quell’ora, solo un orecchio esperto può misurare le distanze dei suoni.

I remi tacciono.

Ecco il sordo rumore d’una chiglia che striscia sui ciottoli della riva. Anche i grilli ascoltano. Poi, più nulla. I grilli uniscono ancora il loro canto a quello dell’allocco lontano, ai borbottamenti del lago pei buchi dei muricciuoli. Silla non poteva discernere questa barca che approdava; vedeva soltanto l’acqua chiara tremolar tra le foglie. Andò avanti. Il sentiero sbucava presto sulla ghiaia d’un piccolo golfo, all’altro capo del quale grossi macigni neri si protendevano nell’acqua. Si rizzava sopra quelli, fra caprifichi e rovi, una cappelletta; e ne sporgeva a piè della cappelletta, la sottile poppa nera d’una lancia. Doveva esservi una cala tra i macigni. Non c’erano altre lancie che Saetta sul lago, e Silla lo sapeva. Ma chi era venuto con Saetta?

Sospettò del Rico e si fermò per non essere scoperto. Vide un’ombra levarsi tra gli arbusti dietro la cappelletta, correr giù, scomparire. Subito dopo sprizzò di là un riso argentino. Impossibile non riconoscerlo; donna Marina! Silla, per istinto, si slanciò avanti, udì una esclamazione

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