< Pagina:Malombra.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
 
— 143 —
 


— Guardi com’entra in darsena — diss’ella dopo un momento di silenzio.

— Io lascio i cordoni.

Silla entrò con precauzione. Solo passando adagio adagio per l’entrata, ella gli rispose piano:

— Come può dire di conoscermi? — Ma bisognava ora badare a non urtar il battello, approdar bene, presso la scaletta. Ed era così buio! Saetta strisciò sul fondo sabbioso, si fermò. Silla uscì, tentò con la mano la parete grommosa dello scoglio in cui è scavata la darsena, trovò questa scaletta che mette al cortile e continua poi nell’ala destra del Palazzo, sino all’ultimo piano.

— La scala è qui — diss’egli porgendo la mano a Marina che ripetè nel prenderla:

— Come può dire di conoscermi? — E saltò, dalla prua a terra: ma, imbarazzatasi nella catena, cadde in braccio a Silla. Egli se ne sentì il petto sul viso, strinse, cieco di desiderio, la profumata persona, calda nelle vesti leggere: la strinse fino a soffocarla, le sussurrò sul seno una parola; e lasciatala scivolare a terra corse via per la scaletta, saltò nel cortile.

Marina rimase immobile, con le braccia stese avanti. Non era un sogno, non c’era inganno, non c’era dubbio possibile; Silla aveva detto: — Cecilia.



    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.