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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Malombra.djvu{{padleft:159|3|0]]Piavola. Non mancava però d’ingegno, nè di coltura, nè di ambizione. Aveva emigrato nel 1860 ed era venuto in Torino per educarsi alla politica. Colà studiava economia e diritto costituzionale, frequentava le sale dei pochi Ministri che tenevano società, le Camere e le tote dei baracconi di piazza Castello. Gli era venuta l’idea di entrare in diplomazia, ma non aveva preso gli esami; si teneva sicuro che, liberato il Veneto, un collegio, dove era grande proprietario, lo avrebbe inviato alla Camera.
Ed ora, mentre la vena inesauribile della contessa Fosca gittava chiacchiere sul capo di Marina, egli, dal canto suo, torturava già il conte Cesare con la propria biografia, con la relazione dei suoi studi, delle sue speranze. Il conte, che sapeva poco dissimulare, stava lì ad ascoltarlo, quasi sdraiato sulla seggiola, col mento sul petto, le mani in tasca e le gambe sgangherate: e alzava il capo a ogni tanto per dargli una occhiata fra l’attonito e l’infastidito.
Quando Dio volle un domestico annunciò che la cena per i signori era pronta. La contessa Fosca volle a forza il braccio di suo cugino. Nepo s’affrettò di offrire il suo a Marina, che l’accettò con un leggero cenno del capo, guardando la contessa e continuando a parlare con lei. S’era fatto un braccio aereo: non toccava quasi quello di Nepo; appena entrati nella sala da pranzo, se ne sciolse.
Intanto la giovinetta vestita di nero aspettava seduta nel vestibolo. Essa non pareva udire le voci nè i passi sopra il suo capo, non pareva avvedersi dei servi che andavano e venivano chiamandosi, ridendo, gittandole occhiate curiose, diffidenti. Si era tratta accanto la sua borsa da viaggio e guardava la porta.
S’udì un passo di fuori, sulla ghiaia; Steinegge si affacciò alla porta. Ella levossi in piedi.
Steinegge la guardò un momento, meravigliato, e passò oltre. La giovine signora fece un passo e disse a mezza voce: