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Ella era ritta davanti la finestra aperta, teneva stretta alla persona con le mani giunte la spalliera di una seggiola e curva sul petto la testa.

Steinegge si fermò; gli si era stretto il respiro. Sentiva forse gelosia dell’Invisibile cui saliva allora, oltre le stelle, il pensiero di sua figlia? Non lo sapeva bene neppur lui che sentisse. Era un freddo, un’ombra fra Edith e sè. Egli non aveva mai nella sua mente distinto Iddio dai preti, dei quali parlava sempre con disprezzo, benchè fosse incapace di usare la menoma scortesia al più zotico e bigotto chierico della cristianità. Aveva spesso pensato con dolore che sua figlia sarebbe stata educata dai preti; e ora, solo per averla veduta pregare, gli pareva che lo avrebbe amato meno, si sgomentava del futuro.

Edith s’avvide di lui, depose la seggiola e disse:

— Avanti, papà.

— Ti disturbo?

Ella si meravigliò del tono sommesso e triste della domanda e rispose con un no attonito, levando le sopracciglia come per dire: — Perchè mi domandi così! — Lo volle accanto a sè, alla finestra.

Era una notte senza luna, quieta. Il lago non si distingueva dalle montagne. Appena si vedeva a’ piedi dell’alta finestra una striscia biancastra, il viale di fronte all’aranciera lungo il lago. Tutto il resto era un’ombra che cingeva da ogni parte il cielo grigio; e dentro a quell’ombra si udiva di tratto in tratto il breve e dolce mormorar dell’acque chete, che, rotte dal guizzo d’un pesce, si dolevano e si riaddormentavano.

Edith e suo padre conversarono ancora lungamente a voce bassa, per un inconscio rispetto alla silenziosa maestà della notte. Ella gli domandava mille cose della vita passata, dalla separazione in poi; faceva domande disparatissime, perchè ne aveva preparato un tesoro da lunga pezza e ora le venivano sulla bocca alla rinfusa,

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