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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Malombra.djvu{{padleft:190|3|0]]opinioni politiche. Allora cominciava a soffiare, a bollire, a ringhiare sinchè rompeva tutti i freni con queste sfuriate gagliarde e finiva come aveva cominciato, buttando fuori frasi rotte, invettive stroncate, stritolate dai denti. Si rasserenava poi subito e rideva con gli amici presenti della propria collera.
— Non è mica sempre così cattivo. La vede, signorina — disse piano a Edith, in dialetto, la vecchia serva di don Innocenzo, portando via il vassoio del caffè.
Edith non capì.
— Dice che sono cattivo, ed è purtroppo vero. Non posso frenarmi. Spero che mi compatiranno. Si fermano qualche tempo al Palazzo?
— Non sappiamo — rispose Edith.
— Non sappiamo — ripetè a caso Steinegge.
— Scusino; è perchè spererei di poter trovarmi con Loro qualche altra volta.
Steinegge, conquistato, si confuse in complimenti.
— Mio amico, io spero — diss’egli stendendo la mano.
— Certo, certissimo — rispose il prete, stringendogliela forte. — Ma prima di partire vengano a vedere i miei fiori.
Questi famosi fiori erano due pelottoni di gerani e di vainiglie schierati lungo il muro della casa; oltre alle dalie, rosai e ai begliuomini disseminati per l’orto.
— Belli, non è vero? — disse don Innocenzo.
— Bellissimi — rispose Steinegge.
— Prenda una vainiglia per la Sua signorina.
— Oooh!
— Prenda, via, andiamo, ch’io non le so fare, no, queste cose.
— Edith, il signor parroco...
— Così dicendo Steinegge, con la vainiglia in mano, si avvicinò a sua figlia, che stava un po’ discosto, presso il muricciuolo.
Edith ringraziò sorridendo, prese la vainiglia, l’odorò, ne guardò il gambo spezzato, e sussurrò: