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— Ohe — diss’ella — anche ladro siete?

Il conte rise e le diede la tabacchiera dicendo:

— Siamo intesi, non manca più che l’assenso di Marina.

Sua Eccellenza uscì e gli chiuse, con poco garbo, la porta in faccia. Passando per la loggia vide le due barche di casa che tornavano. Allora Sua Eccellenza si affrettò di salire nella sua stanza per lasciarvi il suo ventaglio verde e pigliarne un altro nero a fiori rossi, con il quale tornò in loggia e si affacciò, facendosi vento, alla balaustrata.

Le due barche brillavano al sole, sul lago verde, a qualche centinaio di metri. I remi scintillavano nell’entrare e nell’uscir dall’acqua. Un gaio miscuglio di voci e di riso veniva all’orecchio di Sua Eccellenza, quando più quando meno forte, secondo il vento. Quelle barche parevano farfalline cadute nell’acqua, che vi si dibattessero faticosamente agitando le ali, lasciando dietro a sè due lunghe, sottili tracce convergenti. Saetta precedeva con la bandiera ammiraglia; un po’ a sinistra si vedeva la coperta bianca del battello. Marina, Nepo, il Finotti ed il Vezza venivano con Saetta; nel battello stavano gli Steinegge, il Ferrieri e don Innocenzo, che s’era imbattuto per caso nella brigata e s’era unito a’ suoi amici e all’ing. Ferrieri, anche perchè questi, conosciutolo per il parroco del paese, gli avevano fatto un po’ la corte. Nel battello si conversava tranquillamente. Edith difendeva la sua lingua nativa contro l’ingegnere che l’accusava, un po’ volgarmente, di asprezza. Ella sosteneva che l’idioma tedesco è capace di una particolare dolcezza a tempo e luogo, come nella poesia, e ha pei movimenti dell’anima parole dolci come Liebe, weh, fühlen, sehnen, che acquistano dal prolungamento della vocale un suono misterioso e profondo. Diceva queste cose interrottamente, timidamente, nel suo italiano freddo, irrigidito. Mentre ella parlava, suo padre guardava don Innocenzo, guardava l’ingegnere, guardava persino il barcaiolo, con

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