< Pagina:Malombra.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Malombra.djvu{{padleft:223|3|0]]



CAPITOLO VI.

L’Orrido.


Si doveva partire per l’Orrido alle dieci del mattino, c’era da percorrere il lago sino alla sua estremità di levante e poi da salire la valle che lo alimenta con il torrentello di cui appunto sono lavoro le caverne dell’Orrido. Andavano tutti, tranne il conte.

Nepo fu in piedi per tempo e scese in giardino, dove aveva veduto qualche volta Marina passeggiare prima di colazione. Quel giorno ella non venne. Nepo, orbo del suo occhialino, girava a destra e a sinistra, frugando quasi con il lungo naso le macchie e i cespugli, odorando l’aria, palpitando al lontano apparire del giardiniere scamiciato. Marina non si lasciò vedere neanche a colazione; non era cosa insolita.

Venne solo Fanny a pregare Edith da parte della marchesina di voler salire un momento da lei. Scesero quindi insieme al battere delle dieci. Nepo non potè avere da Marina che un — buon giorno — svogliato, buttatogli dall’alto come un mozzicone di sigaro. Ella prese il braccio di Edith e discese in darsena, lasciando addietro la contessa Fosca, Nepo, i tre grandi uomini e Steinegge. Quando costoro entrarono in darsena, Saetta ne usciva con Edith, Marina e il Rico. Vi ebbero proteste. — Buon viaggio, — disse Marina, — noi precediamo. — La sua voce non poteva essere più dolce, non poteva essere più grazioso il cenno con il quale accompagnò le parole; pure nessuno insistette.

La contessa Fosca guardò Nepo, seria: questi volle fare

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.