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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Malombra.djvu{{padleft:253|3|0]]cinque minuti fa. Mio fio sarà mezz’ora che ti è andato incontro. Aspetta, tu col lume, cosa sei tu viscere, che c’è un maledetto scalino mezzo rotto. Ecco. Dove sei, Marina! Vieni, cara! Alzate quella candela, benedetta! Oh Dio, Marina, non ti vedo ancora!

Il Rico le passò avanti con il lanternino, facendo gli scalini a tre a tre. Lo si vide fermarsi tosto e ridiscendere. Dietro al lanternino luccicavano nell’ombra certi grandi bottoni d’acciaio che la contessa conosceva. Ella si fece avanti e abbracciò Marina.

L’abbracciò con impeto a più riprese e le sussurrò all’orecchio:

— Dio ti benedica, delizia, eri il sogno del mio cuore.

E non finiva di baciarla.

Marina taceva. Edith chiese a Fanny se suo padre era in casa. Fanny non lo sapeva.

— No, tesoro — disse la contessa spiccandosi da Marina. — No, è uscito da un pezzetto con uno di quei tre re magi; non con quell’asino di stamattina che voleva farmi veder l’Orrido; con quell’altro lungo, quel della piazza.

La contessa Fosca non ricordava mai o quasi mai il nome delle persone che conosceva da poco tempo. Parlava sempre di quello dal naso lungo, di quello dalla bocca storta, di quello dagli occhiali.

Marina, appena sciolta dagli amplessi della contessa, le gettò un frettoloso «a rivederci» e discese con Fanny.

Sua Eccellenza prese il braccio di Edith e scese con lei adagio adagio, discorrendo e interrompendosi ogni momento per la paura di cadere.

— Che angelo, quella Marina! Piano. Che sentimento, che talento! Piano, benedetta, piano. E bella! Un momento, viscere; non son mica un saltamartino come voi. Dunque, cosa vi pare? Non sapete? Non vi ha detto niente quella briccona? Neppure una parolina? Tutta delicatezza. Oh Dio, io rotolo giù, figlia cara. A piano.

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