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— I miei consigli? Come, i miei consigli?

— Ma certo.

Si parlavano a dieci passi, guardandosi a sbieco.

— Spiegatevi — disse il conte; e posata in furia la candela che aveva presa, le si voltò a fronte.

Presso Marina, sopra un tavolino di marmo, addossato alla parete, v’era un vaso di cristallo, con frondi d’olea e fiori sciolti. Ella piegò il viso dicendo: — non se ne ricorda? — e odorò i dolci profumi moribondi.

— Io? — rispose il conte recandosi la mano al petto. — Io vi ho consigliato?

Marina rialzò il capo dai fiori.

— Lei, Lei — diss’ella. — Poche ore prima che i Salvador arrivassero qui. Fu in biblioteca. Lei mi disse che noi due non eravamo fatti per vivere insieme, che suo cugino aveva una posizione splendida e pensava a prender moglie, che vi pensassi.

— Bene, bene, può essere che io abbia detto quello — replicò il conte imbarazzato, frugandosi con la mano i capelli. — Ma io allora non conoscevo punto mio cugino e voi non avete creduto consultarmi prima di accogliere la sua domanda.

— Adesso lo conosco. Lo trovo un perfetto gentiluomo pieno d’intelligenza, molto distinto, molto brioso, simpaticissimo; come lo trova Lei, insomma.

— Come lo trovo io?

— Ma sì! Non ha dichiarato stasera alla contessa che Lei è contentissimo del matrimonio?

— Sicuramente. Poi che voi non avete stimato di dover prendere la mia opinione e avete deciso da sola, io ne sono contentissimo. Ma mi preme affermare...

Il conte si fermò per l’entrata di Catte.

— Oh, per amor di Dio! — esclamò costei tutta sorpresa e quasi ritraendosi. — Mi scusino tanto. Credevo che non ci fosse più nessuno. Ero venuta a prendere il ventaglio di Sua Eccellenza.

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