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— Per il mio decoro?

— Sicuramente. Voi entrate in una famiglia molto ricca. Dovete entrarvi a fronte alta. — La mano destra del conte gli era uscita di tasca per metà, nell’aspettazione istintiva di un’altra mano che venisse in cerca di lei. Ma l’aspettativa riuscì vana e quella mano ridiscese lentamente. Zio e nipote rimasero un momento immobili a fronte. Poi egli prese una candela e andò a caricar l’orologio a pendolo sul piano del caminetto.

Intanto Marina prese l’altra candela e uscì silenziosamente, senza che il conte, intento a girar la chiave, mostrasse avvedersene. Ella non chiuse neppure l’uscio dietro a sè, tuttavia, appena fu uscita, il conte s’interruppe, voltò la testa e stette un poco a guardar la porta semiaperta. Indi terminò di caricar l’orologio e uscì egli pure, a capo chino, meditabondo, per andarsene a letto.

La vecchia casa severa dormiva inquieta. Più d’una gelosia chiusa appariva rigata di lume; da più d’un uscio sfuggivano bisbigli, s’incontravano nei corridoi vuoti, sulle scale deserte; come quando ciascuno di noi si dispone nel silenzio e nella solitudine al riposo notturno, che i nostri segreti escono dalle loro celle recondite, si spandono bisbigliando per tutta l’anima.

Steinegge era nella stanza di sua figlia. Le aveva dato una grande notizia: la domanda formale della mano di lei, fattagli poche ore prima dall’ingegnere Ferrieri. Il povero Steinegge aveva la febbre addosso. Sentiva confusamente che, avuto riguardo al valore e alla condizione sociale del Ferrieri, la era una grande fortuna; sentiva che l’ingegnere doveva essere un onest’uomo: di questo lo persuadeva il colloquio avuto con lui. Il Ferrieri gli aveva lealmente aperto il suo cuore, gli aveva narrato l’episodio dell’Orrido, esprimendo la speranza che Edith avrebbe accettate le sue scuse, parlando di lei col toccante rispetto di un fanciullo di sedici anni. Poi gli aveva lungamente ragionato di sè, della sua fa-

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