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— Perfettamente.

La contessa Antonietta cercava Silla con gli occhi. Egli comparve qualche momento dopo, pallido, trasognato. Andò a contemplare la Bajadera di marmo.

— Che le pare di questa musica? — gli sussurrò a fianco la vocina morbida di donna Antonietta.

Egli si voltò bruscamente, come sorpreso; credette che la signora gli avesse parlato della statua, e rispose a caso.

— Bellissima!

— Oh, anche Lei! No, è un orrore. Voglio rifarla io la Sua educazione musicale.

— Antonietta! — disse donna Giulia. — Mi accompagni un po’ di Schumann?

— Certo cara. — Lei stia attento disse donna Antonietta a Silla, sottovoce; e andò al piano, levandosi i guanti, fra un fuoco vivo di complimenti.

Allora l’ufficiale d’artiglieria, un piemontese, piccolo, snello, con due occhi sfavillanti di brio diabolico, venne a stringere la mano a Silla.

— Tu qui! — diss’egli.

Conoscenti d’Università, si erano poi riveduti, ma di rado.

— Sediamo qui in un angolo — soggiunse l’ufficiale — e chiacchieriamo un po’ mentre quegl’imbecilli si rompono la testa col loro Schumann. Come va che ti trovo in società? In tre mesi che sono a Milano non ti ho veduto mai. Qual è la tua?

— La mia?

— Eh, Cr..., sì la tua « maîtresse ». — Sai qual' è la mia? È quel pezzo là in bianco e « mauve » con quel monte Rosa di spalle. La conosci? È contessa, baronessa, marchesa, che so io, il diavolo che la porti. Cambio presto, è troppo gelosa. Un pezzo da quaranta suonati. Ma è ancora bella donna. Cr... se è bella donna! E come sente! La tua non sarà mica quel gambero che suona, eh?

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