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Mentre Giovanna e il frate giravano per la casa, Silla, appoggiato alla balaustrata della loggia, guardava il lago verde dormente al sole. Eran proprio passati tanti mesi! Le montagne, la quiete profonda lo riprendevano come cosa loro; e gli pareva non essere mai andato via, aver sognato Milano, un lungo inverno, penosi pensieri. Ma dalle pietre, dalle vecchie pietre austere prorompeva subito il vero presente, lo sgomento che una malattia mortale diffonde intorno all’uomo colpito, sopra tutto la immagine di lei, che, tenendosi nell’ombra, empiva la casa di sè. Perchè si nascondeva? gli pareva ad ogni momento udirne il passo, il fruscìo delle vesti, veder avanzarsi da quella parte quella sua bellezza altera e fantastica. E si voltava a guardare la loggia vuota, stava in ascolto.
Eccola, forse! No, era l’amico dei Salvador, l’avvocato Giorgio Mirovich. Passò camminando in punta di piedi, salutò Silla con un cerimonioso « servo » e s’avviò verso la camera del conte. Ne ritornò subito e chiese a Silla, parlando mezzo veneto, mezzo italiano, se avesse visto quel signor frate. Avutane risposta che era in giro per la casa con la Giovanna, soggiunse: — ha un certo linguaggio quel signor frate! — e si fermò a conversare. Perla d’onest’uomo, ma cortigianescamente devoto alla contessa Fosca, antica fiamma, aveva modi quando burberi quando cerimoniosi, un parlar franco, e insieme cauto. Mirava di scoprire come Silla avesse risaputa la malattia del conte. Silla gli disse che se ne parlava da tutti nei paesi vicini e ch’erano persino corse voci di maggiore sventura. Non lasciò intendere dove precisamente avesse attinta la notizia egli stesso, nè di dove fosse partito quella mattina, benchè non dubitasse che per mezzo del vetturale lo si avrebbe facilmente conosciuto. L’avvocato, a cui ripugnavano le investigazioni oblique, uscì presto di argomento. Confidò a Silla la profonda avversione per quei luoghi inospiti, per le mon-
Malombra. | 23 |
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