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— Niente.

Il frate non parlò nè si mosse. La guardava sempre. Osservava come ogni curiosità fosse interamente scomparsa da quel volto mentre la bocca diceva — non ho inteso.

— Proprio niente — ripetè la contessa con voce tranquilla.

— Dove fu trovato? — chiese frettolosamente Nepo.

Il frate durò a girar gli occhi, tacendo, sulla contessa che tornava al canapè. Quindi si scosse e rispose a Nepo:

— Fu trovato nel pugno chiuso del conte, nel pugno sinistro. Avranno veduto un piccolo brandello di stoffa attaccato al bottone? È chiaro che fu strappato dall’abito a forza.

— Eh, sì — disse l’avvocato.

Il Vezza gli lanciò un’occhiata ironica. Il sagace commendatore sospettava che il bottone fosse stato riconosciuto e giudicava quindi prudente non interporsi in quel momento fra il Salvador e il frate.

— La Giovanna — proseguì costui — che è entrata per la prima nella camera, ha osservato parte di queste cose, senza capire. Prima ha creduto a un ladro, cosa inverosimile: poi ha trovato chiavi, danari, portafogli intatti sul cassettone dove sono ancora adesso; dunque, ladri no. Allora ha pensato che il conte, sentendosi male, avesse voluto chiamare, uscire in cerca d’aiuto; cosa assurda perchè non si spiegano, lasciando stare il guanto, neppure la tazza e il candeliere gittati lontano: non si spiega sopratutto che il conte non abbia suonato il campanello. A ogni modo la Giovanna ha inteso, così confusamente, che c’era del mistero. Non ha parlato a nessuno per non sparger inutilmente sospetti temerari, ma si è confidata a me, forse per l’abito che porto. Io allora ho fatto questo.

La contessa, Nepo, il Vezza pendevano dal suo labbro; non respiravano neppure.

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