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— Ecco, — rispose don Innocenzo; — cos’è oggi? Mercoledì. Bene, lunedì mattina, anzi nella notte dalla domenica al lunedì, il conte ebbe un attacco d’apoplessia.

— Oh!

Don Innocenzo, corretto qualche volta da Marta, raccontò quello che sapeva della malattia. Steinegge non poteva darsi pace di questa sciagura; Edith pure n’era dolentissima.

— E gli sposi? — diss’ella.

— Oh, non sono ancora sposi — rispose il curato.

— E lo diventeranno giusto il giorno del Giudizio — soggiunse Marta.

Il suo padrone la sgridò, disse che il matrimonio era solamente differito e che c’erano bene state tutte le ragioni per differirlo. Marta se n’andò in cucina brontolando.

— Ci sono poi degli altri pasticci — disse don Innocenzo a mezza voce.

Steinegge non pensava più a mangiare; posò le braccia sul tavolo aspettando.

— Dopo, dopo — sussurrò il prete con un gesto e un’occhiata verso la cucina.

— Oh, non mi attendevo questo! — esclamò Steinegge.

Edith domandò di donna Marina. Il parroco disse che stava bene, che l’aveva veduta la sera prima.

Intanto Marta aveva portato il lesso e non parlava più, indispettita pel rabbuffo del padrone, dolente che quel vitello così tenero e saporito e i capperi in aceto preparati da lei avessero, per il malaugurato discorso, a passar senza lodi; prevedendo che la stessa sorte sarebbe toccata all’arrosto.

— Dopo pranzo andremo a Palazzo, non è vero, papà? — disse Edith.

— Certo, oh!

Il solo Veuillot non aveva perduto la sua loquacità allegra; a furia di chiacchiere si fece ascoltare dai com-

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