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— Era vero? — ripetè Marina teneramente.

Non si poteva sentirsi palpitar sul petto quella bellezza altera, respirare il tepore odoroso che le usciva dal seno, udirsene al collo la fioca voce e non perdere ogni lume di pensiero. Silla potè dir appena:

— E tu?

— Dio, da quanto! — rispose Marina. Poi, come per subitaneo pensiero, si sciolse con impeto da Silla, gli appuntò le mani alle spalle.

— Dunque non ti ricordi tutto! — diss’ella.

Egli non capì, rispose a caso, ebbro, tendendo le braccia:

— Tutto, tutto!

— Anche di Genova?

Le parole strane non entrarono nella mente di Silla, che ripetè impaziente:

— Tutto, tutto!

Marina gli afferrò le mani, gliele congiunse con impeto.

— Ringrazia Dio — diss’ella.

Stavolta il nome terribile gli strinse le viscere come un pugno freddo. Egli tacque stupefatto, a mani giunte. Marina tacque pure per pochi momenti, aspettando ch’egli pregasse col pensiero; quindi gli passò la mano destra sotto il braccio, e sussurrò: — Adesso andiamo! — e si volse a risalir la scala.

Egli si lasciava tirar su, restando uno scalino indietro, tacendo.

Trovarono un pianerottolo dove la scaletta svoltava a destra.

— Vieni, dunque — disse Marina, lasciando il braccio di lui e cingendogli col proprio la vita. Gli posò quindi la bocca all’orecchio, vi gettò dentro un bisbiglio.

Egli dimenticò le parole incomprensibili di prima, tornò cieco, le rispose.

— Zitto, adesso — diss’ella mettendogli la sinistra sulle labbra.

    Malombra 26

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