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Il dottore non bevve. Sentiva venire una tempesta. Il Vezza si accostò invece al consiglio di donna Marina e vuotò il suo bicchiere.

— Bravo! — diss’ella facendosi pallida. — Si ispiri per una risposta difficile.

— Di Proserpina in Sfinge, marchesina?

— In Sfinge, sì, e vicina a diventar di pietra o più fredda ancora! Ma che prima parlerà, dirà tutto. Dunque...

Ell’era andata diventando sempre più pallida. A questo punto un tremito di tutta la persona le spezzò la voce. I due uomini si alzarono in piedi. Ella strinse il coltello, ne ficcò rabbiosamente la punta nel tavolo.

— Quieta, quieta — disse il medico pigliandole una mano gelata, piegandosi sopra di lei. Ella si era già vinta, respinse la mano del medico e si alzò.

— Aria! — diss’ella.

Passò con impeto fra il tavolo suo e quello del dottore, e si slanciò alla balaustrata verso il lago.

Il dottore le fu addosso d’un salto per afferrarla, trattenerla.

Ma ella si era già voltata e piantava in viso al Vezza due occhi scintillanti.

— Dunque — esclamò affrettandosi di parlare, di far dimenticare un momento di debolezza — crede Lei che un’anima umana possa vivere sulla terra più di una volta?

E perchè il Vezza, smarrito, sgomento, taceva, gli gridò:

— Risponda!

— Ma no, ma no! — diss’egli.

— Sì, invece! Lo può!

Nessuno fiatò. Il giardiniere, il cuoco, Fanny, avvertiti dal cameriere, salirono frettolosi le scale per venire ad origliare, a spiare. Il vento era caduto; le onde lente sussurravano a piè dei muri: — Udite! udite!

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