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CAPITOLO VIII.

Finalmente amato.


Un’ombra nera comparve sulla porta aperta del salotto di don Innocenzo, nascondendo il cielo stellato; una voce disse:

— Niente.

Il curato non la riconobbe, alzò il paralume della lucerna.

— Ah! Niente? — diss’egli.

— Niente? — ripetè Steinegge.

Si alzarono ambedue in fretta, si accostarono al nuovo venuto.

— C’erano sei uomini — disse costui, il sindaco, con la sua soffice e solida placidità lombarda. — Quattro guardie nazionali e due carabinieri. Han girato tutto il bosco. Già se ci fosse stata, l’avrebbero trovata anche i primi quattro del battello che sono arrivati a terra un dieci o dodici minuti dopo di lei. Il bello è da vedere dov’è quella lì.

Steinegge gli accennò, con una faccia supplichevole, di tacere, di uscire. Il sindaco non capiva, ma seguì nell’orto gli altri due che, fuori, gli sussurravano una parola.

— Ah! — diss’egli.

Non aveva veduto nel salotto un’altra persona seduta in un angolo tra il canapè e la parete. Ella non aveva dato segno di vita all’apparir del sindaco nè durante il suo discorso, ma si alzò poi che il salotto rimase vuoto e venne sulla porta dell’orto dove il lume della modesta

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