< Pagina:Malombra.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

-488-

Ma Edith, si curava ella se fosse o non fosse umido? Per quella porta si vedeva un arco di cielo azzurro tutto occhi scintillanti.

Stelle, soggiorno di pace, come siete lontane, dolcezza e speranza nostra! Come si sente guardandovi quando il cuore è puro, la piccina vanità odiosa di tante cose che paiono grandi al sole, la bellezza sublime della morte! Indefinita via delle anime che salgono eternamente di vita in vita, di splendore in splendore, come si sospira, nella tristezza, che la notte veridica tolga via dagli occhi nostri il chiarore cieco che nasconde te e le tue case lucenti! Allora lo spirito vien meno di desiderio, si figura essere atteso lassù, esser compianto, esser guardato con dolcezza grave da gente che ci ama, conosce il mistero che ci condanna qui al dolore, conosce i nostri pensieri e vede i nostri errori tacendo, perchè un’alta potenza inflessibile lo vuole.

Marta girava per la cucina, sprangava gli usci, tossiva, preparava i lumi, battendoli sulla tavola. Allora Edith ruppe il silenzio.

— Sarai stanco, papà — diss’ella — e domani devi svegliarti per tempo.

Steinegge fu lievemente commosso di udir così calma la dolce voce.

— Io credo che andrò a letto, sì — diss’egli. — Domattina prima di partire debbo stare anche un poco qui col signor curato.

Questi chiamò Marta, le disse di portare un lume e di porre le chiavi della chiesa in salotto, sul tavolo, prima di andare a coricarsi.

Edith non si moveva.

— E tu — disse Steinegge — non vieni?

Ella rispose che non aveva sonno, lo pregò di lasciarla ancora un pochino con don Innocenzo, per quest’ultima sera.

Suo padre si dolse affettuosamente che lo mandasse a letto lui.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.