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— Ah Signore, cosa dice mai questa signora qui! No che non era il diavolo il papà del padrone; però era forse un poco suo parente. Ha da sapere ch’egli tenne qui dentro, come in prigione, la signora contessa, mica la mamma del padrone, la prima ch’era una genovese, giovane un bel pezzo più di lui. C’era un vecchio qui a R... che si ricordava di averla veduta e diceva che era così bella che somigliava un bambino.

È bene che questa povera signora è venuta matta; e alla notte, neh, faceva dei versi e cantava delle ore e delle ore sulla stessa musica, che i pescatori di R... quando andavano fuori di notte la sentivano lontano un miglio. Si figuri che hanno persino dovuto mettere le inferriate alle finestre. Mi ricordo io quando il povero conte vecchio la fece tirar giù. Perchè io, la vede, sono nata qui, al Palazzo. Questa povera signora se ne andò presto all’altro mondo. Quando, degli anni dopo, è morto anche lui, il signor papà grande, la gente cominciò a dire che nella casa ci si sentiva e che i rumori venivano proprio da questa camera. E dissero che l’anima del marito, in pena d’essere stata così cattiva, il Signore l’aveva condannata a star qui dentro settantasette volte tanti anni quanti vi era stata la moglie. Ancora adesso non c’è uno di questi paesani che si possa far dormire qui per un milione.

— Storia insipida — mormorò Marina. — Cosa c’è qui sotto?

— Una camera da letto ch’era poi quella della sua nonna: dopo non c’è stato più nessuno.

— E sopra?

— La stanza delle frutta.

— E quella finestra lì dove guarda?

— Guarda verso il largo del lago, perchè qui siamo sull’angolo.

— E quella porta lì?

— Quella porta lì mette a una camera grande come

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