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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Malombra.djvu{{padleft:85|3|0]]Fanny, una ghiottoneria squisita per lui; ma ora quel complimento di Marina, di una dea a cui non aveva mai osato alzare il pensiero, gli fece perdere il lume dell’intelletto. E non vide agli angoli della bocca di lei l’impercettibile riso. Non vide neppure il conte Cesare che si accostava lentamente, a capo chino, con le mani congiunte tra la schiena e il soprabito tutto aperto e rovesciato all’indietro.

— Che sta scritto sulla ghiaia, zio? — gli disse Marina sorridendo.

— Vi sta scritto — rispose il conte — che voi avete camminato troppo e che questo diabolico dottore vi ha fatto furiosamente la corte. Non è vero, dottore? Metta, metta il Suo cappello. Dunque, come ha trovato mia nipote?

— Quasi benissimo — interruppe questa. — Glielo dimostri Lei con i suoi termini, dottore. Quanto a me non posso soffrire il discorso orribile ch’Ella farà, e Le do la buona sera.

Così dicendo, Marina stese al dottore una sottile manina profumata, ricca nel suo candore quasi trasparente, di occulte malizie, di elettricità senza nome, di espressioni potenti e rapide oltre alla parola: e, significatogli con essa di non parlare, mosse verso casa. Ell’aveva un lume singolare negli occhi. Si teneva sicura che il dottore avrebbe rappresentato al conte la necessità di portarla per qualche tempo in aria diversa, e non avrebbe taciuta la eroica abnegazione di lei che si disponeva di affrontare una legione di malattie pur di non chiedere sacrifizî allo zio. Da questo sperava molto.

Stava per entrare in casa quando le comparve davanti il Rico trafelato, che buttò fuori in fretta e in furia le sue luminose idee, e, avuta la risposta, saltò nel vestibolo, ricomparve carico di cuscini e di scialli, e via come il lampo alla darsena, seguito lentamente da Marina. Quanto era dolce la sera e come scivolava bene sul-

    Malombra. 6

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