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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Malombra.djvu{{padleft:97|3|0]]hanno udito perchè dormono nei loro mantelli, laggiù all’altro capo della sala, seduti dietro la gente ritta?
— È una pazzia — disse Marina, — e io che mi stillo il cervello a questo modo sono ridicola! Ridicola! — ripetè ad alta voce e balzò in piedi.
La parola uscita dalle labbra le parve più aspra della parola stessa concepita nel pensiero. Più aspra, non solo; anche eccessiva e falsa. Ne rimase ferita come se non l’avesse pronunciata lei. In pari tempo le entrò prima nel cuore, poi per tutte le membra una agitazione sorda, un’alternativa di stanchezza e d’impaziente ardore, una cupa resistenza alla volontà.
Meraviglioso il caso che l’aveva portata, nel fiore della gioventù e della bellezza, da Parigi, a quella stanza disabitata da settant’anni! Meraviglioso il caso che aveva appiccato l’anello all’uncino del segreto, sì che ella potesse leggere: «Tu che hai ritrovato e leggi queste parole, conosci in te l’anima mia infelice!»
Delirio! Ma dove era una traccia di vaniloquio in quello scritto? Concitazione sì, disordine sì, ma una prigionia di cinque anni, un concetto così straordinario nella mente! Concetto antico! Ma non sarebbe questa una ragione di credere? Marina tremò, le parve sentirsi chiamare, pregare da tante anime ignote che avevano avuta questa fede, le parve seguire un momento il loro slancio. E il sangue le correva sempre più tempestoso, la intelligenza, la volontà venivano mancando.
Non ricordava Camogli nè Genova, Renato nè Pellegrina Concetta, non un giorno della esistenza precedente, non un’ora; ma quanti istanti! Quante volte non le era balenata la ricordanza di istanti perduti fra le tenebre d’un passato ignoto! Quella sera stessa, le campane! Le corse un ghiaccio nel sangue, un’oppressione indicibile la strinse la gola. Ebbe allora lo sgomento di affogare, l’istinto di salvarsi. Abbracciò que-