< Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 3 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Mastro-don Gesualdo (1890).djvu{{padleft:11|3|0]]Dal palazzo dei Trao, al di sopra del cornicione sdentato, si vedevano salire infatti, nell’alba che cominciava a schiarire, globi di fumo denso, a ondate, sparsi di faville. E pioveva dall’alto un riverbero rossastro, che accendeva le facce ansiose dei vicini raccolti dinanzi al portone sconquassato, col naso in aria. Tutt’a un tratto si udì sbatacchiare una finestra, e una vocetta stridula che gridava di lassù:

— Aiuto!... ladri!... Cristiani, aiuto!

— Il fuoco! Avete il fuoco in casa! Aprite, don Ferdinando!

— Diego! Diego!

Dietro alla faccia stralunata di don Ferdinando Trao apparve allora alla finestra il berretto da notte sudicio e i capelli grigi svolazzanti di don Diego. Si udì la voce rauca del tisico che strillava anch’esso:

— Aiuto!... Abbiamo i ladri in casa! Aiuto!

— Ma che ladri!... Cosa verrebbero a fare lassù? — sghignazzò uno nella folla.

— Bianca! Bianca! Aiuto! aiuto!

Giunse in quel punto trafelato Nanni l’Orbo, giurando d’averli visti lui i ladri, in casa Trao.

— Con questi occhi!... Uno che voleva scappare dalla finestra di donna Bianca, e s’è cacciato dentro un’altra volta, al vedere accorrer gente!...

— Brucia il palazzo, capite? Se ne va in fiamme tutto il quartiere! Ci ho accanto la mia casa, perdio!

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.