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— Mi avete tolto mia figlia... anche adesso che sono in questo stato!... Ve lo lascio per scrupolo di coscienza!...— Oppure gli rinfacciava di averle messo fra i piedi quell’altra gente... Oppure non rispondeva affatto, col viso rivolto al muro, implacabile.

Nanni l’Orbo s’era installato come un papa in casa di don Gesualdo. Mangiava e beveva. Veniva ogni giorno a empirsi la pancia. Diodata badava a quel che c’era da fare, e lui correva in piazza a spassarsela, a confabulare cogli amici, a dir che ci voleva questo e si doveva far quell’altro, a difendere la causa della povera gente nella quistione di spartirsi i feudi del comune, ciascuno il suo pezzetto, come voleva Dio, e quanti figliuoli ogni galantuomo aveva sulle spalle, tante porzioni! Egli conosceva anche per filo e per segno tutti i maneggi dei pezzi grossi che cercavano appropriarsi le terre. Una volta attaccò una gran discussione su quest’argomento con Canali, e andò a finire a pugni, adesso che non era più il tempo delle prepotenze e ognuno diceva le sue ragioni.

Il giorno dopo mastro Titta era andato da Canali a radergli la barba, allorchè suonarono il campanello e Canali andò a vedere colla saponata al mento. Mentre affilava il rasoio, mastro Titta allungò il collo per semplice curiosità, e vide Canali il quale parlava nell’anticamera con Gerbido, una faccia tutti e due

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