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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Mastro-don Gesualdo (1890).djvu{{padleft:60|3|0]]Fifì, donna Giovannina, donna Mita, la mamma Margarone, donna Bellonia, dei Bracalanti di Pietraperzia, nientemeno, che soffocava in un busto di raso verde, pavonazza, sorridente; e dietro, il papà Margarone, dignitoso, gonfiando le gote, appoggiandosi alla canna d’India col pomo d’oro, senza voltar nemmeno il capo, tenendo per mano l’ultimo dei Margarone, Nicolino, il quale strillava e tirava calci perchè non gli facevano vedere il santo dalla piazza. Il papà, brandendo la canna d’India, voleva insegnargli l’educazione.

— Adesso? — sogghignò il marchese per calmarlo. — Oggi ch’è festa? Lasciatelo stare quel povero ragazzo, don Filippo!

Don Filippo lasciò stare, limitandosi a lanciare di tanto in tanto qualche occhiataccia autorevole al ragazzo che non gli badava. Intanto gli altri facevano festa alle signore Margarone: — Donna Bellonia!... donna Fifì!... che piacere, stasera!... — Perfino don Giuseppe Barabba, a modo suo, sbracciandosi a portar delle altre seggiole e a smoccolare i lumi. Poi dal balcone si mise a fare il telegrafo con qualcuno ch’era giù in piazza, gridando per farsi udire in mezzo al gran brusìo della folla: — Signor barone! signor barone! — Infine corse dalla padrona, trionfante:

— Signora! signora! Eccolo che viene! ecco don Ninì!....

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