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II. Il dono: a chi si deve donare?

Alle fantasie più vivaci, alle immaginazioni più ardenti, ai temperamenti più sensibili e più curiosi, alle anime più mobili e più inquiete, alle buone, deliziose e talvolta perfide creature, che hanno tutto in sé, e che, quindi, più aspettano, più desiderano, più invocano il dono: ai bambini e alle donne! Questa è la tenera sapiente legge umana, che viene dall’alto criterio della forza e della debolezza, della grandezza e della piccolezza, di chi deve proteggere e di chi deve esser protetto: tenera e savia legge, che mette nelle nobili mani degli uomini, che sanno pensare, sanno lavorare, sanno amare, anche la sorgente delle gioie infantili e muliebri. L’idea schietta, l’idea semplice, in tutte le cose: l’uomo deve donare alle donne e ai fanciulletti. È lui che provvede al necessario, egli deve provvedere al superfluo: è lui che dà la forza, egli deve premiare la grazia: è lui che dà la pace, egli deve dare la lietezza. Così sempre è stato, così sempre è, e così sempre sarà. Un dono dato da una donna a un uomo, da un bambino a un uomo, sono fatti strani, fatti eccezionali, prove di una bizzarra trasformazione dello spirito, prova di una singolare deviazione del sentimento, di soverchio amore da una parte, di troppa freddezza dall’altra. La bella regola, è che l’uomo doni, non importa se egli compia l’atto materiale di comperare il dono: è lui che vi pensa, sempre, è lui che dà gli ordini, le istruzioni, è lui, soprattutto che dà i denari: l’uomo! È vero, vanno in giro le nonne, le mammine, le zie, le sorelle, per comperare i doni: ma chi forma il nerbo di queste passeggiate e di queste compre, è l’uomo. Oh santo diritto, nobile e sacro di-


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