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al Catasto, tutti si è più liberi, alla domenica, e si può consacrare più facilmente, più volentieri, una mezza giornata a una festa di nozze. Il matrimonio civile, atto importante, ma scevro di qualunque poesia, si celebra in parentela strettissima, senza nessun’altro: genitori, testimoni, fratelli e sorelle, se ve ne sono, qualche zio, qualche nonno, se esiste ancora. La sposa deve portare una toilette piuttosto ricca, in velluto, in broccato, in foulard, secondo la stagione: toilette che le servirà, più tardi per visite di grande etichetta. Colore chiaro, piuttosto. Mai cappello chiuso, mai cappottina: sarebbe un errore di gusto. Cappello rotondo, molto chic, che le servirà, anche, più tardi, per le dette visite. Sulle spalle un grande mantello ricco; mai, una giacchetta: qualche bel gioiello, scelto fra i doni dello sposo che già debbono essere giunti, al completo. Scarpini di capretto nero, calze di seta nera: guanti bianchi, ombrellino ricco. Lo sposo porta la solita, inevitabile redingote, i pantaloni grigi, la cravatta chiara, le scarpe di pelle lucida, i guanti bianchi. È chic avere un bel fiore, all’occhiello, ma sarebbe ridicolo, se fosse il fior d’arancio. La madre della sposa e quella dello sposo vanno in toilette da visita, al Municipio: i genitori maschi, testimoni, parenti, in redingote e tuba. E naturale che la famiglia della sposa provveda alle carrozze, tre o quattro: che distribuisca le mance ai portieri municipali: che pensi, naturalmente, a ogni ammennicolo. Se l’ufficiale dello Stato Civile è persona nota e di conoscenza, bisogna invitarlo alle nozze religiose; tanto più, se è un amico, se offre un mazzo di fiori col nastro bianco e una penna di oro. Nella prima carrozza, all’andare e al venire, si colloca la sposa con suo padre e i suoi testimoni; nel
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