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tutto vi è, a portata di mano, di voce, di passo: in una grande città, dove basta escire dal portone per trovare anche la pietra filosofale, che, si dice, non fu mai trovata; in una grande città, a che può servire di conoscere i propri vicini? A che aumentare le proprie relazioni, inutilmente, quando quelle che si hanno, d’ordinario, sono soverchianti? A che mettersi in rapporto con gente nuova, ignota, forse estranea a ogni proprio gusto, forse antipatica, forse equivoca? Perché conoscere, proprio i vicini, quando il più savio consiglio è di restringere alle persone più note, più simpatiche e più utili, le proprie relazioni? E, veramente, esiste una vicinanza, in una grande città, in una grande strada in un grande palazzo, o non si è, veramente, anche gli inquilini di questo medesimo palazzo, completamente estranei, l’uno all’altro? E in tanto lavoro, in tanti pensieri, in tanti svaghi, in tanti affanni, chi mai s’incarica del proprio vicino? Il vicino non esiste, in un ambiente di metropoli. E non dovrebbe esistere, quindi, la profferta di servigi, barocca e inutile; non dovrebbe esistere l’offerta della visita, che, quasi sempre, è inopportuna e mal gradita; a rigore, non dovrebbe esistere neanche lo scambio dei biglietti da visita. Per questi, passi. Ma non oltre! Non parlo, poi, qui, dei danni delle nuove conoscenze, quasi sempre pericolose, fra nuovi e vecchi inquilini: pensateci voi, o genitori, voi, o mariti, voi, o fidanzati, a questi danni, calcolateli, essi possono essere irreparabili!

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