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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Maturin - Melmoth, II, 1842.djvu{{padleft:261|3|0]]miei sogni, facendo del mio sonno una seconda esistenza, io pensava a voi, voi vedeva ne’ miei sogni, non amava che voi. — Amar me!... nessuno mi ha ancora testificato il suo amore se non con le lagrime. — E non ne ho io versate?... Prestate fede a queste; esse non sono le prime, che io abbia sparse e temo che non saranno le ultime. — In vero voi finireste coll’ispirarmi della debolezza, disse il viaggiatore con un riso sardonico. Sia: io lo voglio; e quando verrà il giorno troppo fortunato, bella Immalia, cioè bella Isidora, quel giorno in cui vi destereste in mezzo a degli amplessi, a de’ raggi di luce, a dell’amore ed a tutti i vani ornamenti con cui la follia ricopre la sventura prima della loro unione?

Egli accompagnò questo discorso con quel sorriso terribile e convulsivo, che congiunge l’espressione della frivolezza a quella della disperazione. La misera e timida Isidora gli rispose: Io non v’intendo, e se voi non volete che io rimanga priva

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