< Pagina:Maturin - Melmoth, III, 1842.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

215

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Maturin - Melmoth, III, 1842.djvu{{padleft:224|3|0]]

Alla fine Moncada chiamò in soccorso tutta la sua fermezza, e cominciò la sua relazione; ma non tardò ad accorgersi, l’attenzione del suo ascoltatore essere da qualche altro oggetto preoccupata, e si arrestò. Mi pareva, disse Melmoth, per dare ragione della sua distrazione a Moncada, di sentire come il rumore di uno, che passeggiasse nel corritoio. — Zitto, rispose Moncada, non vorrei, che alcuno ne stesse ad ascoltare. Fecero ambedue silenzio e ritennero il respiro, Il rumore si rinnuovò. Non vi era più dubbio che qualcuno camminasse e si avvicinasse alla porta. Siamo espiati, disse Melmoth, volendo levarsi in piedi; ma all’istante medesimo si aprì la porta, e presentossi una persona, nella quale Moncada riconobbe l’oggetto del suo racconto, quegli cioè, che visitato lo avea nelle carceri della inquisizione, e Melmoth si risovvenne del ritratto e l’ente, il di cui aspetto lo aveva riempiuto di spavento nel vederlo assiso al capezzale del letto di suo zio moribondo.

Il sopraggiunto si fermò per qual-

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.