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SCENA V

Publio e Barce.

Publio. Addio, Barce vezzosa.

Barce.   Odi. Non sai
dell’orator cartaginese il nome?
Publio. Sí: Amilcare si appella.
Barge.   È forse il figlio
d’Annone?
Publio.   Appunto.
Barce.   (Ah! l’idol mio.)
Publio.   Tu cangi
color! Perché? Fosse costui cagione
del tuo rigor con me?
Barce.   Signor, trovai
tal pietá di mia sorte
in Attilia ed in te, che non m’avvidi
finor di mie catene; e troppo ingrata
sarei, se t’ingannassi. A te sincera
tutto il cor scoprirò. Sappi...
Publio.   T’accheta
mi prevedo funesta
la tua sinceritá. Fra le dolcezze
di questo dí non mescoliam veleno
se d’altri sei, vo’ dubitarne almeno.
               Se piú felice oggetto
          occupa il tuo pensiero,
          taci, non dirmi il vero,
          lasciami nell’error.
               È pena, che avvelena,
          un barbaro sospetto;
          ma una certezza è pena,
          che opprime affatto un cor. (parte)

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