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172 xviii - attilio regolo

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incapace di fren. Per impedirti

il passaggio alle navi, ognun s’affretta
precipitando al porto; e son di Roma
giá l’altre vie deserte.
Regolo.   E Manlio?
Publio.   È il solo
che ardisca opporsi ancora
al voto universal. Prega, minaccia;
ma tutto inutilmente. Alcun non l’ode,
non l’ubbidisce alcun. Cresce a momenti
la furia popolar. Giá su le destre
ai pallidi littori
treman le scuri, e non ritrova ormai
in tumulto sí fiero
esecutori il consolare impero.
Regolo. Attilia, addio: Publio, mi siegui. (in atto di partire)
Attilia.   E dove?
Regolo. A soccorrer l’amico; il suo delitto
a rinfacciare a Roma; a conservarmi
l’onor di mie catene;
a partire o a spirar su queste arene. (partendo)
Attilia. Ah, padre! ah, no! Se tu mi lasci... (piangendo)
Regolo. (serio, ma senza sdegno)  Attilia,
molto al nome di figlia,
al sesso ed all’etá finor donai:
basta; si pianse assai. Per involarmi
d’un gran trionfo il vanto,
non congiuri con Roma anche il tuo pianto.
Attilia. Ah! tal pena è per me... (piangendo)
Regolo.   Per te gran pena
è il perdermi, lo so. Ma tanto costa
l’onor d’esser romana.
Attilia.   Ogni altra prova
son pronta...
Regolo.   E qual? Co’ tuoi consigli andrai
forse fra i padri a regolar di Roma

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