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174 xviii - attilio regolo

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ed Attilia non sia

il ramo sol di sí gran pianta indegno.
Barce. Attilia, è dunque ver? Dunque a dispetto
del popol, del senato,
degli áuguri, di noi, del mondo intero
Regolo vuol partir?
Attilia. (con fermezza)  Sí.
Barce.   Ma che insano
furor?
Attilia. (come sopra) Piú di rispetto,
Barce, agli eroi.
Barge.   Come! del padre approvi
l’ostinato pensier?
Attilia.   Del padre adoro
la costante virtú.
Barce.   Virtú che a’ ceppi,
che all’ire altrui, che a vergognosa morte
certamente dovrá...
Attilia. (s’intenerisce di nuovo) Taci. Quei ceppi,
quell’ire, quel morir del padre mio
saran trionfi.
Barce.   E tu n’esulti?
Attilia. (piange)  (Oh Dio!)
Barce. Capir non so...
Attilia.   Non può capir chi nacque
in barbaro terren per sua sventura
come al paterno vanto
goda una figlia.
Barce.   E perché piangi intanto?
Attilia.   Vuol tornar la calma in seno,
     quando in lagrime si scioglie
     quel dolor che la turbò;
          come torna il ciel sereno,
     quel vapor, che i rai ci toglie,
     quando in pioggia si cangiò. (parte)

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