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Demetrio.   Di tua pietá mercede

ti rendano gli dèi. L’offerto acciaro
ecco al tuo piè. (vuol depor la spada)
Alessandro.   Che fai? Prence, io non vendo
i doni miei. La tua virtú gli esige,
non li compra da me. Quanto gli tolsi,
tutto Antigono avrá: non mi riserbo
de’ miei trofei che Berenice.
Demetrio.   (Oh dèi!)
T’ama ella forse?
Alessandro.   Io nol so dir; ma parli
Demetrio, e m’amerá.
Demetrio.   Ch’io parli?
Alessandro.   Al grato
tuo cor bramo doverla. Ove tu voglia,
tutto sperar mi giova:
qual forza hanno i tuoi detti, io so per prova.
          Sai qual ardor m’accende,
     vedi che a te mi fido:
     dal tuo bel cor dipende
     la pace del mio cor.
          A me, che i voti tuoi
     scòrsi pietoso al lido,
     pietá negar non puoi,
     se mai provasti amor. (parte)

SCENA III

Demetrio, poi Berenice.

Demetrio. Misero me, che ottenni! Ah, Berenice,

tu d’Alessandro, e per mia mano! Ed io
esser quello dovrei... No, non mi sento
tanto valor: morrei di pena; è impiego
troppo crudel... Che! puoi salvare un padre,
figlio ingrato, e vacilli? Il dubbio ascondi;

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