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16 xvi - temistocle

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SCENA V

Sebaste e dette.

Sebaste.   Principessa,

se vuoi mirarlo, or l’orator d’Atene
al re s’invia.
Rossane.   Verrò fra poco.
Aspasia. (a Sebaste) Ascolta.
È ancor noto il suo nome?
Sebaste. Lisimaco d’Egisto.
Aspasia.   (Eterni dèi!
questi è il mio ben.) Ma perché venne?
Sebaste.   Intesi
che Temistocle cerchi.
Aspasia.   (Ancor l’amante
nemico al padre mio! Dunque fa guerra
contro un misero sol tutta la terra!)
Rossane. Precedimi, Sebaste. (parte Sebaste) Aspasia, addio.
Deh! non tradirmi.
Aspasia.   Ah! scaccia
questa dal cor gelosa cura. E come
può mai trovar ricetto
in un’alma gentil sí basso affetto?
Rossane.   Basta dir ch’io sono amante,
     per saper che ho giá nel petto
     questo barbaro sospetto,
     che avvelena ogni piacer;
          che ha cent’occhi, e pur travede;
     che il mal finge, — il ben non crede;
     che dipinge — nel sembiante
     i deliri del pensier. (parte)

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