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Danao.   Perché sospiri?

Qual disastro t’affligge?
Linceo. Nol so.
Danao.   Come! nol sai?
Linceo.   Signor...
Danao.   Palesa
l’affanno tuo: voglio saper qual sia.
Linceo. Ipermestra può dirlo in vece mia.
Ipermestra. Ma concedi ch’io parta. (a Danao)
Danao. No, tempo è di parlar. Dirmi tu dèi
quel che tace Linceo.
Ipermestra. (impaziente)  Ma... padre...
Danao.   Ah! veggo
quanto poco degg’io
da una figlia sperar. Conosco, ingrata...
Linceo. Ah! non sdegnarti seco,
signor, per me: non merita Linceo
d’Ipermestra il dolor. Da sé mi scacci,
sdegni gli affetti miei, m’odii, mi fugga,
mi riduca a morir: tutto per lei,
tutto voglio soffrir; ma non mi sento
per vederla oltraggiar forze bastanti.
Ipermestra. (Che fido amor! che sfortunati amanti!)
Danao. Il dubitar che possa
Ipermestra sdegnar gli affetti tuoi,
prence, è folle pensiero:
non crederlo.
Linceo.   Ah, mio re, pur troppo è vero!
Danao. Non so veder per qual ragion dovrebbe
cangiar cosí.
Linceo.   Pur si cangiò.
Danao.   Ne sai
tu la cagion?
Linceo.   Volesse il ciel! Mi scaccia
senza dirmi perché: questo è l’affanno
ond’io gemo, ond’io smanio, ond’io deliro.

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