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72 xvii - zenobia

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Radamisto.   Zopiro! (si leva)

Zopiro.   O prence invitto,
gloria del suol natio,
cura de’ numi, amor dell’Asia e mio,
ed è pur ver ch’io ti rivegga? Ah! lascia
che mille volte io baci
quella destra real.
Radamisto.   Qual tua sventura
fra questi orridi sassi,
quasi incogniti al sol, guida i tuoi passi?
Zopiro. Dell’empio Farasmane
fuggo il furor.
Radamisto.   Non l’oltraggiar: rammenta
ch’è tuo re, ch’è mio padre. E di qual fallo
ti vuol punir?
Zopiro.   D’esserti amico.
Radamisto.   È giusto.
Tutti abborrir mi dénno. Io, lo confesso,
son l’orror de’ viventi e di me stesso.
Zopiro. Sventurato e non reo, signor, tu sei.
Mi son noti i tuoi casi.
Radamisto.   Oh, quanto ignori
della storia funesta!
Zopiro.   Io so che tutta
sollevata è l’Armenia e che ti crede
uccisor del suo re. Ma so che venne
il colpo fraudolento
dal padre tuo; ch’ei rovesciò l’accusa
sopra di te; che di Zenobia...
Radamisto.   Ah! taci.
Zopiro. Perché?
Radamisto.   Con questo nome
l’anima mi trafiggi.
Zopiro.   Era altre volte
pur la delizia tua. So che in isposa
la bramasti.

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