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michele strogoff

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Un po’ più lungi, su quelle pianure secche, costeggiate da salici, da alberelle, da ontani si sbandavano alcune vacche di un rosso carico, greggi di montoni dal pelo bruno, numerose agglomerazioni di porci e di porcellini bianchi e neri. Alcuni campi seminati di magro frumento nero, e di segala, si stendevano fino all’ultimo piano di colli semicoltivati che non presentavano alcun spettacolo notevole. In quei monotoni paesaggi la matita di un disegnatore in cerca di luoghi pittoreschi nulla avrebbe trovato da riprodurre.

Due ore dopo la partenza del Caucaso, la giovane livoniana, rivolgendosi a Michele Strogoff, gli disse:

— Tu vai ad Irkutsk, fratello?

— Sì, sorella, rispose il giovine, facciamo entrambi la medesima strada, perciò da per tutto dove passerò io tu passerai.

— Domani fratello, saprai perchè ho lasciato le rive del Baltico per andare al di là dei monti Urali.

— Io non ti domando nulla, sorella.

— Tu saprai tutto, rispose la giovinetta sulle cui labbra apparve un triste sorriso; una sorella non deve nulla nascondere al fratello. Ma oggi non potrei, la stanchezza, la disperazione mi hanno sfinita.

— Vuoi riposarti nel tuo camerino? domandò Michele Strogoff.

— Sì, sì, e domani...

— Vieni dunque...

Egli esitava a finir la frase, come se avesse voluto compierla col nome della compagna che ancora ignorava.

— Nadia, disse ella porgendogli la mano.

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