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Costantino, che conosceva già quell’uomo, rimase in piedi, col cuore che gli batteva forte. Nella sua inquietudine ricordava la storia dei fantasmi dentro il fiume, la voce del condannato che diceva: testa di montone, e si domandava se l’altro s’era offeso a torto od a ragione. Nella stanza si sentiva solo lo stridìo della penna sulla carta aspra.

I due occhi rotondi e chiari lo fissarono nuovamente: egli trasalì, si guardò attorno, stette in ansiosa attesa.

— Che si riconosca la mia innocenza? — si domandò con un impeto di gioia.

L’uomo aveva di nuovo ripreso a scrivere: tuttavia domandò con voce alta e grossa:

— Vi chiamate?...

— Costantino Ledda.

— Di dove?

— Di Orlei in Sardegna, provincia di Sassari.

— Benissimo.

Silenzio. L’uomo scriveva sempre. D’un tratto raschiò forte, sollevò il viso roseo, parve finalmente vedere il condannato: Costantino abbassò gli occhi.

— Va bene. Avete moglie?

— Sì.

— Figli?

— Ne avevamo uno ed è morto.

— Voi siete unito a vostra moglie col solo matrimonio civile?

— Sì, — rispose Costantino, e sollevò gli occhi spauriti. Vide sulla mano grassa e rosea del

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